MORTE DI UN ULTRAS

L’umana pietà dovrebbe far si che non si debba gioire per la morte di nessuno neppure dei criminali peggiori.
Infatti, siamo contrari alla pena di morte.
È vero però che istintivamente non proviamo la stessa pietà nei confonti di chi muore per un incidente sul lavoro e per chi muore in un “regolamento di conti” tra malavitosi.
Quindi, anche senza gioire per la sua morte, non verseremo una lacrima per Daniele Belardinelli, il tifoso dell’Inter morto durante gli scontri tra teppisti di opposte tifoserie.
Era un ragazzo solare, dice del Belardinelli lo zio, e noi ci chiediamo quanto solare fosse quando partecipava ai pestaggi ai danni dei tifosi avversari o quando, a Varese, presso la palestra “Fight Academy “ si allenava nella “Scherma pastorale della valle Ofantina”, una’arte marziale che di base consiste nell’uso del coltello in maniera efficace.
Trentacinquenne comproprietario di una ditta di lavori edili con sede in Svizzera (non stiamo a interrogarci sul perché la sede sta in svizzera), fascista abbondantemente tatuato, leader del gruppo ultras “Blood Honour” di Varese, raggiunto da due “Daspo” per complessivi 5 anni, sorvegliato speciale per reati connessi a manifestazioni sportive, Daniele Belardinelli è “caduto sul campo” abbattuto da qualcuno non dissimile da lui.
Da un altro criminale “ultras” simile a quelli che piacciono tanto a Salvini.