Sabato pomeriggio di novembre; un’ambulanza corre verso il pronto soccorso.
È intervenuta per trasportare un’anziana paziente che un medico di guardia ha giudicato grave anche se non critica e difficilmente gestibile in casa.
A bordo, insieme alla paziente ha preso posto anche una delle figlie che ha provveduto a portare con se anche la cartella clinica della madre.
Nel percorso verso l’ospedale la paziente viene mantenuta sotto ossigeno rispettando le consegne dello pneumologo che avendola visitata la settimana precedente ha raccomandato “l’ossigenazione” della paziente senza interruzione alcuna nelle 24 ore.
Il personale dell’ambulanza, si attiene a tale
prescrizione monitorandone mediante il “saturimetro” l’ossigenazione che al momento dell’arrivo in ospedale segna come valore oltre 90. Un valore non altissimo ma sufficiente.
All’arrivo, l’anziana donna viene condotta all’interno del pronto soccorso senza mai staccare la bombola dell’ossigeno in dotazione all’ambulanza.
Solo all’interno della struttura, quando l’infermiere dell’ambulanza deve riportare indietro la bombola dell’ossigeno, un giovane mediconzolo in servizio quel pomeriggio, decide, ancora prima di esaminare la paziente, di staccare l’ossigeno e alle obiezioni della congiunta della donna che lo invita a prendere almeno visione della cartella clinica , con un piglio autoritario degno di un primario navigato ma ridicolo se recitato dal mediocre personaggio racchiuso dentro un camice bianco, ne ordina l’allontanamento.
La figlia della paziente fa inutilmente presente che essendo la madre totalmente non udente è lei ad essere l’unica interfaccia con chi la circonda; ma è tutto inutile. Viene bruscamente allontanata.
Sono circa le 18,30.
Alle 20.30 si riesce ad avere finalmente un colloquio con il personale sanitario. Ma viene impedito alla congiunta di stare accanto alla madre nonostante questa non sia in grado di comunicare che non sia la figlia.
Inutilmente la figlia passa tutta la notte nella sala d’attesa del pronto soccorso implorando da infermieri e medici notizie dalla madre.
Con la prosopopea di chi ha maturato la vocazione alla medicina guardando “Grey’s Anatomy” e “Doctor House”, “E.R.” e “Medicina Generale”, con l’autorità derivante da un camice bianco tanto sognato guardando i serial medici in televisione, i giovani dottori, in servizio al pronto soccorso quel pomeriggio e durante quella notte, interpretano la loro parte secondo un copione che hanno visto recitare dai loro eroi televisivi.
Per tutta la notte non si riesce ad avere alcuna notizia della paziente ricoverata.
Solo il giorno dopo, domenica, alle 13.00, un medico si decide a prendere visione della cartella medica e a far entrare nella sala del pronto soccorso, dove la paziente è ricoverata dalla sera prima, una delle figlie.
Ma è troppo tardi.
L’anziana donna, è ormai in coma.
Completamente sorda non ha potuto ne comprendere ne comunicare con alcuno.
È stata legata alla barella e le è stato forzato in bocca il boccaglio dell’ossigeno fino a romperle i denti.
Senza nessuno che abbia potuto fare da interfaccia tra lei e la realtà, totalmente impossibilitata a comprendere e a comunicare è stata lasciata sola con un trattamento lontano da ogni compassione e pietà.
È come se fosse stata torturata. Psicologicamente e fisicamente.
Morirà durante la notte tra ld domenica e il lunedì.
Durante il coma continuerà ad agitarsi e si tranquillizzerà soltanto quando sentirà, chissà in quale maniera inconscia, la vicinanza della figlia tra le cui braccia spirerà nella notte tra la domenica e il lunedì.
Questa è una storia vera della quale sono stato testimone.
Si è svolta a Torino tra il15 e il 17 novembre del 2014.
Il pronto soccorso in questione è quello dell’ospedale Maria Vittoria.
Un pronto soccorso che in città ha una fama sinistra.
Meritatissima.